domenica 19 febbraio 2012

Zucchero di Kanna. 20


Mi sento ancora più solo, e quando ti senti così disperato non puoi che aggrapparti a qualcuno che sai che ti cerca, che ti vuole. E’ un po’ cinicobastard, ma la vita è questa, oggi a te domani sempre a te:

chiamo la Titina.

Ce ne andiamo in un coffee bar abbastanza fuorimano. Ci sediamo e ordiniamo da bere. Io non faccio in tempo a partire con le mie storie che lei mi prende in contropiede: parte in quarta e riattacca con la storia infinita dei suoi infiniti ex. Lascio fare e bevo. Tutte storie tragiche, tragedie greche, drammoni e lacrimoni. Mi gratto le palle senza farmi accorgere.

Poi la riaccompagno.

Sotto casa sua lei aspetta un nanosecondo prima di scendere dalla mia macchina coi vetri appannati. Io non mi muovo. Sento freddo. Mi sento freddo.

- Ciao...

- Ciao.

- Mi telefoni?

Non ho il tempo di rispondere: schizza all'improvviso e mi bacia di prepotenza. Rigido come un baccalà mi lascio baciare, lei è velenosamente carina. Il bacio dura così a lungo che mi viene il timore che mi stia iniettando del cianuro nella gola.

Ci lasciamo andare un po’ selvaggiamente. Lei non perde tempo e dice:

    - Andiamocene alla FIGC...

    Che è un posto di estrema periferia tutto buio dove le coppiette vanno a imboscarsi prese dal vortice ormonale inarrestabile.

Parcheggio nel buio della campagna, alle spalle della FIGC, tra luci opache della luna e un torpore luminoso di una notte rassegnata. L’abitacolo è freddo, lo si può riscaldare solo assemblando i nostri corpi. Ci siamo avvinghiati e baciati e accarezzati e toccati, come due animali affamati. Ma me ne sono accorto che c’era una maledetta barriera tra noi, un abnorme muro invisibile che non riesco a superare: il mio cuore.

Che non batte.

E mi fa paura.

Nessun commento:

Posta un commento