martedì 7 febbraio 2012

Una Mesata di Naja

Dopo 15 giorni di naja ero molliccio come una larva. Ci avevo provato a escogitare qualcosa per tirarmi fuori da quella melma: ettolitri di valium, tonnellate di sonniferi, corda e sapone, gas soporifero, gas saporito (agli aromi speziati). I giorni passavano lenti e il cielo splendeva torrido sulla mia testa, ma io ero d’un grigiofumo che neanche lo smog di Londra. Permessi di uscita anticipata zero, licenze solo quella di uccidere me stesso alla mensa truppa, esoneri per tutti i tipi di malattia (veneree comprese) respinte: un olocausto. Il nemico, al 45° Battaglione, era un cancro in metastasi dentro la mia testa.
Dopo una mesata circa, catalogabile come “un’eternità”, tra preghiere e lamenti e ululati alla luna, l’insperato/disperato aiuto dal cielo arrivò.
Quella mattina ero intento a ramazzare per la 266esima volta il cortile, quando una voce tuonante dall'alto pronunciò il mio nome. Non mi sembrò vero che ci fosse finalmente Qualcuno Lassù. Era un furiere, impalpabile come solo i furieri possono. Dopo il primo attimo di sgomento mi catapultai ai piedi della sagoma recitando la preghiera della licenza, il salmo del permesso e l’ode al non-servizio di guardia. Furiere IV si intenerì e, posta una mano sul mio capo, disse, enfatico:
- Su figliolo alzati, non è come tu pensi…
- Non sono di guardia?
- No…
- Neanche di pulizia camerate?
- Nooo…
 -Di courvè cucina?
- NO-OO! – si spazientì Furiere IV – Sei un soldato fortunato… Seguimi in fureria, sei stato assegnato a un ruolo importante.

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