venerdì 21 giugno 2013

Sono Dinomimmo Tuttattaccato


Sono Dinomimmo, tutt'attaccato, così non mi rompono a chiedermi "qual'è il cognome?". Gli amici mi chiamano dinomì, io mi autografo dnmmm, perché a Foggia non si usano le vocali. Per campare vendo roba per fare palazzi. Suono il basso in una rock band ancora senza nome (e senza gloria). Mi definiscono, i miei fans, uno pseudo scrittore demente e maledetto. Scrivo dark e cupo certe robe ermetiche che capisco solo io. Scrivo di notte e di giorno non rileggo. Fumo a catena e sbevazzo rum d'inverno, alla faccia della mia mitralica in polipropilene. I miei scritti sono poco meno di deliri allo specchio: racconto i miei buchi e le mie ossessioni. Ho pubblicato nel 2003 Bambini Daun, per quelli della Palomar: dopodiché è fallita. 
Non ho alibi, soprattutto ad agosto e con una donna piantata nella testa peggio di una pallottola.

giovedì 20 giugno 2013

Un Capo Zulu Legato


Sono spazientito, e ansioso, ansimo senza pazienza. Il tempo, quello con la T maiuscola, impettito sgasa e si porta irrimediabilmente via le ultime speranze di rivederla. La aspetto da giorni, precisamente 37. E' sparita lasciandomi impietrito e in sospeso, come se la nostra fosse stata una brutta storia.
Lei mi abbracciava e mi mordeva e mi rideva, mi franava addosso con i suoi 92 chili ben portati, procurandomi  ematomi vari. L'aspetto in questo crepuscolo di luce mezza catramata: dovrei scartavetrarmi, passare un antiossidante e riverniciarmi a nuovo. Lei era satura di ombre, di spettri di un passato bulimico e desideri inconfessati di diafanotrasparenza. La scopavo come un selvaggio, in tre minuti netti ero sfiancato dal suo peso.
Mi sento come trafitto da spilli, la sua scomparsa è come un rito vudu. Mi sento un selvaggio capo zulu legato dentro la sua misera capanna.
Farei chissà cosa per riportare la storia allo stadio iniziale. Ma tutto si è consumato e concluso improvvisamente, e il mio sguardo è di colpo invecchiato di trent’anni. 
Invecchiatoditrentanni…



domenica 16 giugno 2013

I Quattro Punti Fondamentali

La città era gelidagelida, affondava in una condensa di ghiaccio. Mi raggomitolo nell’interspazio tra collogiubbotto e bordobavero: accendo una mozzoEmmesse e sbatto fuori il fumo con vigore rabbioso. Il freddo circostante ha un impeto di irritazione.
Perdersi così per una come quella, puh! Le devi fare crepare le femmine, che sennò so’ loro che fanno crepare te... Ti prendono e fanno quel cazzo che gli pare e piace. Eppoi dopo che te le sei scopate che vuoi pretendere di più? Siamo animali, noi maschi, bestie bavose che dopo la monta hanno l’unico vantaggio rispetto alle bestie vere di potersi accendere ‘na bella sigaretta! Altro che amore! Lo capite il senso profondo della parola? No!, non ci capisco un cazzo e manco lo voglio capire!
Una zaffata di vento gelidosecco mi spazzola la criniera forforosa. Metto a fuoco l'auto rossa in parking vietato. lei sbuca da dietro l’angolo, mani nel giubbotto di pelle e cerchi così rossi sulle guance da sembrare un’Heidi un po’ più sexy. Infreddolita giunge all’auto: apre la portiera ed entra in nove secondi esatti.
- Ciao Rosanna...
Le prende quasi un colpo: smuove le labbra per dire qualcosa, ma per lo spavento riesce a sputacchiare solo duetre monosillabi. La spiazzo con un sorriso così smagliante da sembrare Gianni Morandi mandato dalla mamma a prendere il latte.
- Mi… mi hai seguito?!?
- Non... Non riesco a fare a meno di...te...
Un profondo turbamento la soffoca in gola e le fa rallentare il respiro. Sferra una manata fraudolenta sullo sterzo, dice Ahia! e, soffiando sulla mano dolorante, dà l’input a uno sguardo preoccupato fuori dal finestrino appannato.
- Per favore... - piagnucolo io.
-Senti, è finita, come devo dirtelo?
- Io... non...
- Ti devo ricordare n’altra volta i Quattro Punti Fondamentali? - sibila lei - 1. Sei - 2. Solo - 3. Un - 4. Coglione...

La Malinconia Nel Sangue

Le parole che galleggiano nell’aria senza una vera utilità, s’impastano in un miscuglio insapore di malumore. Ha ragione mia madre: io la malinconia ce l’ho nel sangue. Perché sono stato l’unico bimbo in tutta la maternità, a non aver emesso alcun vagito subito dopo essere venuto alla luce. E perciò non mi sono sfogato.
- Senti – mi stortoguarda Gianclaudio - Non starci sempre a pensare...
- Che palle - dico - non ho niente a cui pensare, questo è il problema…
Prende tempo per tentare di afferrare i concetti che latitano nella mia testa glaciale. Accendo il walkman appeso alla cintura, m’infilo le cuffiette lasciate appese al collo e mi spara una smetallata degli Iron Maiden.
- Pensi troppo al niente – dice Gianclaudio, abbassandomi il metalvolume.
- Che palle…
- Tu c’hai bisogno di farti una sega urgentemente… - sentenzia Gianclaudio.


sabato 15 giugno 2013

Io, Lucky e Jim

Ero a Woodstock, folla immensa e ululati alla luna, fricchettoni e figli dei fiori, gente sbattuta sull’erba e gente sbattuta dall’erba. Ero intunicato in un mantello rosso e plagiavo la folla con movimenti gasati/effervescenti. Le note gorgogliavano emettendo bollicine come una gazzosa a basso prezzo. La guitar impugnata tipo kalashnikov, puntata contro il pubblico infiammato.
Break on Thru’, yeah!
Riff in Mi minore, corde che spazzolano la criniera psichedelica del rock. Ronzo come un calabrone ubriaco in uno scombinato ballo fuori tempo, passi rapidi e vagamente kitsch. Sono sudatissimo, suono a un ritmo   sincopato e violento. Luci corsare, penombra del palco, immagini vorticose, suoni suoni, rumori rumori. Sbatto all’impazzata la testa, tempo in quattroquarti leggermente anticipato.
Jim Morrison entra a torso nudo, testariversa all’indietro, la folla è all’apoteosi, Let’s go guys!, Break on Thru’ to the Other Side - Break on Thru’ to the Other Side!, muscoli del collo induriti fino allo spasimo, note psichedeliconervose del riff di chitarra. Io brucio ossigeno a bocca aperta. I gemiti funambolici di Jim, il suo inchino finale esausto, l’odore degli assoli, della perfomance, del sound, della fatica, dei fumogeni. Le luci che fulminano tutte le ombre, Jim che saluta il suo pubblico, standing ovation…
- Grande Jim… - dico estasiato.
- Ma che stracazzo c’hai da stare così rincoglionito? Hai fumato?– dice Lucky, toccandosi freneticamente le palle.
- Giusto un po'... - sussurro. 
L’aria del grigio inverno si propone con spifferi freddi. Lucky scartavetra la gola e scatarra un missile salivale terra aria. Mi disgusta e lo spingo al largo. Entriamo nel 500 Blu parcheggiato sulla side laterale della Villa Comunale. L’interno umidiccio assorbe male il grigiore di quella giornata fiacca. L’aria indolenzita è satura di quell’apatia urban-adolescenziale.
Lucky si srotola un ricciolo di capelli, assalito dalla tricotillomania. Mi appoggio sullo schienale con un fare sbilanciato.
- Devo farmene un altra, se no esco pazzo… 
Accalco i pugni nelle tasche della giacca e fisso la folla che è ancora in standing ovation davanti a Jim.
- Dov'è Jim?
- Fanculo... - scatarra di nuovo Lucky.

mercoledì 12 giugno 2013

QSB


Q.S.B.!
Me lo dicono: qsb!
Mi infervoro mi parlo addosso,
parlo di inverni anni 80 in cui c'era la guerra fredda tra Usa e Urss, ma più specificamente tra Duran Duran e Spandau Ballet, Simon Le Bon era più figo ma Tony Hadley cantava meglio.
Quando si telefonava dalla cabine giallosip con i gettoni bronzati, quando si sperava di prendere almeno 27 all'esame e invece non si superava neanche quello di disegno per poter fare il rinvio del militare, quando le mamme perdevano tutta la domenica mattina per preparare il ripieno prezzemoloide delle braciole, quando avevi voglia di tenerezze e coccole da una ragazza e invece ti capitava sempre la zatterona di turno con due metri di diametro, quando si rientrava per guardare i video di Mister Fantasy alla tivvù, quando freschi di patente si correva a 180 nella notte sulla tangenziale, quando si mangiavano i panini da Faustino e le birre dal Calabrese, quando ci si dava appuntamento con la tipa a un certo posto a una certa ora e lei ti bucava e senza telefonini col cazzo che si riaggiustava la serata, quando le canne erano un diritto e non un dovere, quando con 5000 lire ci si ubriacava e si risolveva una serata.

QSB!, mi dicono: quant sì bell quando ti racconti...

lunedì 10 giugno 2013

Prof Rosa Shocking

Pensieri come nubi tossiche. Meglio starsene dentro un sogno colorato, il cuore a tracolla e fuoco sulla donna che ti annebbia la testa. La vita dovrebbe permettere libero sfogo alla personalità dell’individuo, dovrebbe essere vita e basta, non un corso assurdo di sopravvivenza.
Imbocco il corridoio e infilo una mano nella tasca della giacca. Ne estraggo il ciddì originale N.4, ancora incellofanato e puzzoso di plastica. Lo scandaglio in maniera casual, gongolando come un bimbo col suo giocattolino nuovo. Arrivo a destinazione quasi ansimante linguapenzoloni, Vilcoyote all’inseguimento di Bi-Bip.
Attendo, senza fretta, sorriso ebete.
Sfodero un’occhiata interrogativa nel circondario. Smassaggio due sanguinovirulente asciate sul viso, radabarbetta rasa da poco. Il silenzio del corridoio sottolinea la mia ansia. Una catena di emozioni che non sono vere e proprie emozioni, ma piccoli blocchi di emotività create dal fattore sorpresa. Non te l’aspetti da te stesso una cosa così: per scardinare la routine basta un niente, anche se poi lo stesso tot di niente è sufficiente a ripristinarla taleqquale.
Mi accorgo di lei che, libri sotto il braccio, esce proprio in quell’istante dall’aula. Sorpresa, mi inquadra mettendomi lentamente a fuoco con le sue doppie lenti su montatura rosa shocking.
- Buongiorno prof… Volevo solo darle… questo…
Lei abbassa sulla punta del naso gli occhiali, guarda più da vicino il ciddì originale N.4 che barcolla sul palmo della mia mano aperta.
- Studia Isidoro, domani c'è compito in classe…
Non reggo a lungo l’impatto di quel suo sguardo nero profondo e requisitorio. Una scarica acida di succhi gastrici dallo stomaco mi salgono in gola, pietrificandomi in una difficoltosa deglutizione. Sparo lo sguardo più basso che posso, cercando di celare un certo imbarazzo.
La prof si risistema gli occhiali rosa shocking e con un repentino dietrofront si dilegua.

Notte Spataffiata


Il Centro Storico è un’implosione di giallonotturne luci e puzza di sacchetti di monnezza abbandonati fuori dai cassonetti. Lo spettro del Passato gironzola nell’aria a cavallo di un vento implacabile che spazzola la criniera d’uno squallorabitato. Le case fatiscenti giocano a nascondino con le petopalazzine di cemento, le disastrate chiese del Seicento litigano come comari con le insegne neonluminose rossocolorate poste sulle opacosbiadite facciate. Ma una certa magia resiste con coraggio a questo degrado, perchè la magia un Centro Storico ce l’ha dentro.
Il Pataffio, la statua del vicerè col dito puntuto, sembra indicare con arroganza agli stravolti della notte di mantenere le distanze. Due vistosi ciuffi di gramigna sbucano dalle orecchie di pietra, look post-punk a ciocche verdecolorate. Le luci smorzate dei lampioni sproporzionano un po’ le petopalazzine, rendendole paonazze come malate di smoglebbra. Le auto parcheggiate in ogni buco/pertuso fanno un’orgia peccaminosa con l’asfalto, buttato a tocchi irregolari sugli antichi sanpietrini.
Scardina dall’autoradio dell'Alfarossa il ciddì dei Doors e ne interrompo il riff pungente.
- Ti stai ficcando in un guaio – dice Giancarlo - lo sai che la tipa è sposata con un mezzo squilibrato che se ti becca ti a un culo a tarallo?
Edoardo ascolta con attenzione senza farsi infinocchiare: a lui quel mio modo di fare drammatico/autolesionista gli sta tremendamente sui coglioni. Fa un passo all’indietro lanciando uno sguardo distratto verso Giancarlo, che intanto se ne sta sotto il Pataffio con un paio di occhirospo eccessivi.
- No che non ha capito – dice calmo Edoardo - La tipa è la moglie di Tonino Sbatacchio, anni di galera collezionati con merito…
Io sussulto e tossisco forte. Socchiudo gli occhi su questo freddo che invade le ossa e picchia di santa ragione.
- Vabbè – dico - Mi state dicendo che, pur trattandosi di amore, dovrei mandare tutto a puttane?
- Non ha capito un cazzo, quindi - conclude Giancarlo, spataffiato.
- Ti stiamo dicendo - ghigna Edoardo - che pur trattandosi di amore, quella E' una puttana...