Una fitta
allo stomaco quando si accendeva la luce verde sulla chat, e lei era
online. Ci provai, dopo un po', a sparare forte, per colpirla: a
bruciapelo dissi che volevo baciarla. Minacciavo di farlo davanti a
tutti, ma erano
scarse probabilità rilanciate al buio. Lei rispondeva ridendo, Mavattenevà, mi scriveva in
fretta, ma io sotto sotto nutrivo l'attesa di un incontro a
quattrocchi unanimi.
Non
avevo nessuna intenzione di infilarmi in quel triangolo: ero cotto e
volevo rubarla alla sua vita noiosamente standard. Quando sei così
preso è come se avessi le mestruazioni: sei nervoso e
vorresti che tutto terminasse per il meglio all'improvviso. Quella
danza di parole in chat durava ormai da settimane, puro cazzeggio che
non riuscivo a ben direzionare.
Al
bar mi limitavo ai sorrisi e qualche frase sfuggente,
così com'era lei. Indurla ad uscire fuori di casa mi sembrava storia
impossibile. Nuove domande imbarazzanti gliele ponevo sempre più
spesso, a crudo: se amasse suo marito, se avevo speranze di ottenere
il suo numero di cellulare, se aveva un senso chattare a quell'ora di
notte. Lei si nascondeva dietro risposte sarcastiche, fughe dietro
parole paradossali e complicate.
Mi squillò il Nokia alle 6.35 di quell'assurdo lunedì mattina.
Mi squillò il Nokia alle 6.35 di quell'assurdo lunedì mattina.
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