Espressioni davanti allo
specchio, smorfie intontite, rigirarsi piroettarsi ammirarsi il corpo, starsene in giardino in mutande a fissare il Vuoto del cielo, quel fastidio per i peli, quel chiudersi in bagno a
rasarli.
Ho dovuto riscrivere il mio destino, questo mondo non è il mio. Sono un pesce
tropicale dentro un acquario scomodo nuotato da triglie. Disagio a denti stretti, creare qualche spiraglio qualche appiglio qualche
appoggio. Non mi piaccio, sono diverso
da tutti gli altri, sguardo dolce malinconico garbato poco macho.
Certe volte speri che le cose si rimettano in carreggiata
da sole. Ho una mente impossibile da penetrare. Verso i diciott’anni, quando i miei amici si
imboscavano a pomiciare con le ragazze nei posti più sperduti, io restavo solo: tornavo a casa e mi chiudevo in camera, mettevo su Material
Girl, a basso volume in cuffia, e guardavo fuori dalla finestra.
Il
mondo è un quadro astratto, assume sembianze scolorite e picassiane, pensieri quasi spenti senza forma.
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