Mi
trasformò quel lunedì in un sabato.
Mi
sentivo felice come una Pasqua, guidato da Nostro Signore, puntuale
in ogni mia parola e poco allergico alla primavera. Camminavamo uno
accanto all'altra, ed io mi autocelebravo, rilevavo la resurrezione
del mio Io cerebroleso. Ero rinato, rinato rinato. I suoi discorsi mi
guidavano fuori dalla mia austerity, avevo smesso di fare i conti con
me stesso e misuravo la lunghezza d'onda del suo sguardo. Il mio
cuore pulsava per tenermi in vita, nel bene e nel male, mi
rinfacciava il mio egoismo e accettava la generosità delle forme di
lei: in buona sostanza lei mi arrapava.
Mi
aveva aperto, i suoi occhi avevano luce, mi sentivo trasformato e
guarito: ero lì lì per saltarle addosso. Ero dilatato dalla sua
presenza, ringiovanito di due secoli, spalleggiato dal ritmo dei suoi
passi. Le fissavo l'orlo delle mutandine fuoriuscire dal bordo dei
suoi jeans stretti e sentivo che il mio amichetto si ingrossava:
volevo mangiarla.
Il
mondo mi sorrideva, lei mi sorrideva, il giorno mi sorrideva: troppa
felicità tutta d'un colpo, poteva venirmi un infarto.
Andò
via sorridendo, ed io rimasi a sorridermi addosso.
Mi
pentii, quel giorno, di non averla azzannata famelico, di non averle
leccato quel lungo collo bianco e eccitante.
Non
la vidi più, porcaputtanazzatroia...
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