sabato 24 dicembre 2011

Come un Cocorito


Era febbraio, non c’era tanto freddo. Stavo bene in un giubbottino priminverno, aderente, appiccicato addosso. Lei aveva il solito look intrigante e un pallore di tutte di troppe ore chiusa tra quattro mura. Mi veniva incontro scansando auto che strombazzavano gagliarde e facevano volgari apprezzamenti sul suo posterior. Io ero al margine del marciapiedi opposto, senza un motivo logico, senza una vera e propria pretesa.
- Che cazzo hai da ridere? - disse.
- Il mio… - risposi guardandomi la patta dei pantaloni.
Ci incamminammo. 
Lei sparlava sparlava, della sua vita tosta e/o pallosa, delle giornate che scorrevano lente, una lunga sfilza di argomentazioni scoglionanti che però a me sembravano interessantissime. Per i primi due/tre quarti d’ora rimasi in silenzio di tomba a fare sissì con la testa come un cocorito. Non riuscivo a far altro che sparare ogni tot minuti una freddura che non faceva né ridere né piangere.
Arrivammo davanti a un palazzo annisessanta, sfaldato e fatiscente come i miei propositi di salire da lei.
Mi invitò a salire.
Mi fece accomodare in cucina e tirò fuori una bottiglia di Martini. Mi scolai con estrema facilità un paio di bicchieri, anche per allentare la tensione che il muoversi tigrato di lei mi provocava. Rimasi lì seduto imbalsamato, più o meno, a sentirla monologare sulle difficoltà di relazionarsi da subito con qualcuno. Provai un forte senso di irritazione: magari non era vero affatto. Il suo era mettere le mani avanti per non cadere. 
Accennai ad alzarmi, goffamente, mostrando chiaramente la voglia di andar via.
Lei mi rimise a sedere, toccandomi sulla spalla e sorridendo appena.
- Spogliati - disse - e vieni di là...

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