lunedì 23 aprile 2012

Zucchero di Kanna. 46



Ci ho rimuginato molto sulla Filosofa, qualcosa mi prende di lei. Non quel Qualcosa, quello no, però è qualcosa che non so cosa sia. E’ questo a farmi paura, il cuore non batte ma il cervello è a galla. Comunque è già un fattore positivo, no?
Ho il sospetto che in campo sentimentale io stia solo inseguendo l’erba del vicino che è sempre più verde. Comincio a pensare che forse queste mie incertezze faranno solo del male, a me, alla Filosofa e a tutte le altre che verranno, se verranno. Questa mia debolezza mi creerà dei problemi grossi, perché ho paura di legarmi, perché so cosa vuol dire amare senza essere ben corrisposti. Se la Filosofa si lasciasse prendere sarebbe un guaio, mi conosco, e conosco pure il mio cachisso. Non dovrei permettere che lei si perda, perché forse uno lunatico come me lei non se lo merita.
Mentre il fotoromanzo psicotico si sviluppa eroicamente nella mia testa squilla il telefono: è lei.
Usciamo di pomeriggio, mentre la città attorno si comincia ad abbrustolire di caldo. Me la porto al Bar Haiti, che è aperto. E' piacevole starci a quest’ora, a parte gli albanesi e i marocchini ‘mbriachi. Ci sediamo ai tavolini all’aria aperta e non ci togliamo neanche gli occhiali da sole. Lei prende un’acqua tonica, io un Negroni. Ci sollazziamo alla grande, sto proprio bene a sentirla parlare di cose serie e profonde, a sentire tutti i suoi congiuntivi azzeccati, roba che se mi metto io non ingarro tre parole giuste di seguito. Mi piace mi piace mi piace, forse più di lei mi piace l’idea che ho io di lei, un’idea pulita e bella come questo sole di primavera. Ce la cantiamo e ce la fischiamo tutto il pomeriggio, ci sfioriamo solo con gli sguardi. Poi lei va via che deve studiare per un esame e a me dispiace un sacco.
L'erba è sempre più verde.

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