domenica 22 aprile 2012

Zucchero di kanna. 44



La chiamo al telefono, la tipa della festa, la Filosofa. Ha una voce calda e disponibile, e sarebbe bello a questo punto capire cosa mi spinge a cercarla.
Ci vediamo a Piazza Padre Pio, ci salutiamo un po’ freddi e ci sediamo ad una panchina scacazzata. Siamo un po’ imbarazzati, un po’ con l’aria dei non so bene cosa dire. Lei mi appare in una luce diversa adesso, forse perché sto meno floscio della sera della festa e soprattutto non mi puzzano le ascelle. Non riesco a ben dialogare con lei, ha una scioltezza di linguaggio ed idee che mi mettono con le spalle al muro. Le sue domande sono introspettive, e io, che pure ho fatto cinque esami all’università prima di mollare (era sempre lo stesso esame mollato cinque volte) deglutisco parecchio prima di risponderle. Le sue parole mi entrano ovattate nelle orecchie, inquinate dai rumori caotici della sera primaverile foggiana. Lei parla parla, dei suoi esami all’università (non mollati), del suo modo di vedere la vita, del suo modo di interpretare me. E non riesce ad interpretarmi a dovere, che non è facile debbo dire. E infatti me lo chiede, così, a crudo.
Cosa voglio da lei?
No perché lei, ci tiene a puntualizzarlo, non è proprio la persona adatta ad una storiellina toccata e fuga. L’avevo capito subito, sai?, sai che ti avevo già inquadrata come sei da quella sera alla festa?
Mi ha già messo in crisi.

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